Hermann Melville: BARTLEBY, THE SCRIVANER – BARTLEBY LO SCRIVANO. Traduzione (a latere) di Enzo Giachino.

Giulio Einaudi editore

Collana: Einaudi Tascabili – Serie bilingue

Anno di stampa: 1995

pagg. 167;  20 cm

Classificaione Dewey: 813.3 MEL

Collocazione:

Descrizione

Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Bartleby_lo_scrivano:_una_storia_di_Wall_Street

Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street (titolo originale Bartleby the Scrivener: A Story of Wall Street) è un racconto di Herman Melville. Lo scritto fu pubblicato all’inizio anonimamente, in due parti, sulla rivista Putnam’s Magazine a novembre e dicembre 1853, e fu poi incluso nella raccolta The Piazza Tales nel 1856 con modeste variazioni testuali. A quanto pare l’opera fu ispirata a Melville dalla lettura di Emerson, tanto che sono stati trovati dei paralleli con il saggio di Emerson Il trascendentalista.

Il racconto è stato adattato per lo schermo due volte: nel 1970, con Paul Scofield, e nel 2001, con Crispin Glover.

Trama

Il narratore è il titolare di uno studio legale di Wall Street a New York. Egli svolge “un lavoro discreto fra i titoli, le obbligazioni, le ipoteche di uomini abbienti”, e si descrive come “una persona eminentemente cauta e fidata”. Egli ha tre dipendenti: Turkey (tacchino) e Pince-Nez (occhiali a stringinaso), scrivani, e il fattorino Ginger Nut (biscotti allo zenzero). Turkey, un anziano inglese, è un modello di efficienza al mattino, ma diventa insolente e pasticcione dopo pranzo; Nippers invece, un giovanotto ambizioso, è inquieto e irritabile al mattino ma lavora bene al pomeriggio. Il narratore, pur notando queste eccentricità, accetta di buon grado i suoi dipendenti e, con l’ampliarsi dell’attività, decide di assumere un terzo scrivano. Risponde all’annuncio Bartleby, che si presenta in ufficio come una figura “pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida!”.

In principio Bartleby esegue diligentemente il lavoro di copista ma si rifiuta di svolgere altri compiti, sconcertando il suo principale con la risposta “preferirei di no” (nell’originale, “I would prefer not to”). Poi smette di lavorare del tutto, fornendo come unica spiegazione la medesima frase.

Il principale, combattuto tra la pietà e l’esasperazione, scopre che Bartleby non ha casa né amici e abita nello studio. Non avendo il coraggio di licenziarlo ma irritato dalla sua “signorile nonchalance cadaverica”, cerca di persuaderlo a riprendere il lavoro o, almeno, a fornire spiegazioni. Bartleby non fa altro che ripetere il suo motto; quindi il principale è costretto a licenziarlo. Tuttavia l’ormai ex impiegato continua ad aggirarsi nello studio; allora l’avvocato decide di trasferire altrove la sua attività per sfuggire a quell’inquietante presenza.

I nuovi inquilini, però, protestano e il principale va a parlare ancora con Bartleby, offrendogli denaro e birre e invitandolo persino a trasferirsi a casa sua. “No, preferirei non fare cambiamenti”, è la risposta. I nuovi inquilini fanno così arrestare Bartleby per vagabondaggio.

Quando il narratore si reca a fargli visita alle Tombe, la prigione di New York, Bartleby lo accoglie con “La conosco, non ho nulla da dirle”. Egli tuttavia cerca di confortarlo, dando del denaro al vivandiere perché gli offra dei pasti migliori. Ciononostante, Bartleby “preferisce non” mangiare, e si lascia morire di inedia. La narrazione si chiude con una riflessione dell’avvocato, che essendo venuto a sapere che Bartleby aveva in precedenza lavorato all’ufficio delle lettere smarrite di Washington, ipotizza che il maneggiare queste lettere morte lo abbia condotto alla depressione e al suo bizzarro comportamento.

Fortuna

“Bartleby lo scrivano” è uno dei racconti più famosi della letteratura nordamericana. È considerato un precursore della letteratura esistenzialista e dell’assurdo, anche se non ebbe fortuna all’epoca della pubblicazione. “Bartleby” anticipa molti temi dell’opera di Franz Kafka, in particolare Il Processo. Albert Camus cita Melville come una delle sue principali influenze in una lettera a Liselotte Dieckmann che fu pubblicata sulla French Review nel 1998. Una celebre lettura del personaggio di “Bartleby” viene data in “Bartleby, la formula della creazione”, testo scritto da Gilles Deleuze e Giorgio Agamben.

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