Joyce Lussu: STORIE. Vere e inventate, di guerre e di amori, con un detective formidabile e donne, streghe, maghe e sibille.

(La biblioteca  contiene due copie dell’opera).

Casa editrice: Il lavoro editoriale

Collana: Storie

Anno di stampa 1a e 2a copia: 1986

pagg. 271;  22 cm

Classificazione Dewey: 853.91 LUS

Collocazione:

Descrizione

Fanno parte del libro i racconti:

  • Fronti e frontiere
  •  Sherlock Holmes, anarchici e siluri
  •  Il libro perogno

Da: http://circolorosselli.it/020406-lussu-ajello.htm

Fra le donne che lottarono contro il fascismo, a Joyce Lussu va riconosciuto un posto privilegiato e originale. Moglie di Emilio Lussu leader del partito sardo d’Azione, poi esponente di vertice di Giustizia e Libertà, scrittore assai felice Joyce ha sempre posseduto di suo una irresistibile forza vitale e una rara predisposizione all’autoironia. Il quesito se coraggio e senso dell’umorismo possano combinarsi senza stridori riceve, nel suo caso, una risposta affermativa. Negli anni duri dell’attività cospirativa un fiuto femminile quasi volpino la aiutava a districarsi nelle circostanze più difficili; un’energica improntitudine da donna vissuta le consentiva di risolvere a proprio vantaggio e a vantaggio della causa situazioni che chiunque altro avrebbe giudicato impossibili. Fuoruscita per mezza Europa al fianco di suo marito, ogni missione che le veniva affidata diventava, per come la viveva e la raccontava, un romanzo. Storie vere e storie immaginate appartengono, con pari merito, al suo bagaglio espressivo. Nessun dubbio è lecito sulla sua veridicità quando parla da protagonista o da testimone; e ugualmente autentiche appaiono le sue capacità letterarie quando si cimenta in lavori d’immaginazione. A metà fra testimonianza e immaginazione si divide questo suo libro intitolato Storie, pubblicato dal Lavoro editoriale (pagg. 271, lire 25.000).

Si tratta, come dice il lungo sottotitolo, di vicende vere e inventate, di guerre e di amori, con un detective formidabile e donne, streghe, maghe e Sibille. A unificare e rendere plausibile il tutto sono il sorridente understatement che l’autrice adopera quando parla di casi vissuti e la grazia snobistica o pensosa che impiega nel fare il verso ai generi letterari più svariati, dal romanzo poliziesco al saggio antropologico. Fronti e frontiere, il racconto col quale si apre il libro, uscì nel 1944, a ridosso dei fatti narrati. E’ una specie di diario di sei anni di vita clandestina, vissuta dalla coppia Lussu e spesso da Joyce soltanto, quando i casi della guerra e della cospirazione la tenevano lontana da suo marito. Attraverso decine di storie rocambolesche, passaggi di frontiere con scalate di montagne e buchi nei reticolati, perquisizioni, arresti, qui-pro-quo, continui inganni orditi ai danni di poliziotti di mezza Europa (italiani, francesi di Vichy, tedeschi, spagnoli, portoghesi), viaggi aerei e passaggi in nave sempre con l’ossessione dei gendarmi, si snoda un romanzo della clandestinità che ha pochi riscontri, quanto a densità drammatica, nelle cronache dell’antifascismo italiano. Da Emilio Lussu, suo marito, Joyce sembra aver assorbito, oltre all’audacia, anche le alte qualità letterarie. Dell’autore di Marcia su Roma e dintorni e di Un anno sull’Altipiano possiede certamente la capacità di raccontare in maniera concreta, vissuta, le avventure più coinvolgenti senza abbandonare il dono del distacco.

A questo aggiunge un senso tutto femminile della semplificazione, che le fa scoprire l’ umanità, con le sue debolezze e le sue distrazioni, in qualsiasi personaggio incontri: dai nazisti più inflessibili alle guardie francesi del governo di Pétain, dai carabinieri italiani ai soldati inglesi o americani in cui si imbatte come liberatori disambientati e non sempre perspicaci. I fatti nei quali la Lussu viene coinvolta sono spesso obiettivamente eroici (mi si consenta l’aggettivo), ma vengono esposti con una così evidente attrazione per il plot, l’intreccio, da apparire quasi legati tra loro da un filo giallo. Alcuni episodi di questa odissea antifascista, se non fossero ampiamente documentati negli annali dell’antifascismo, sembrerebbero sfiorare l’incredibile: per esempio, il lungo tentativo, riuscito, di far emigrare dalla Francia occupata in Svizzera il vecchio deputato socialista Emanuele Modigliani e sua moglie, entrambi ebrei; e un avventuroso passaggio delle linee che Joyce compie, verso la fine del 1943, da Roma ancora sotto i nazisti al Sud liberato. Nelle maglie di questo romanzo-verità fa la sua comparsa anche Benedetto Croce, incontrato dalla scrittrice nella pace di Capri poco dopo l’arrivo degli Alleati. Tempo prima il filosofo aveva lodato sulla Critica un libro di poesie della Lussu (che da ragazza si chiamava Salvadori). Ora viene da lei visto come un parente, con la sua mentalità da anziano redditiero abruzzese. Grande confidenza, nessun timore reverenziale. Lo facevo arrabbiare spesso, confida Joyce, e svela con sintetico candore perché l’accordo fra loro due non era perfetto: Io volevo fare la rivoluzione, e lui no. Un racconto assai godibile à la manière di Sir Arthur Conan Doyle è, nello stesso volume, quello che s’intitola Sherlock Holmes, scritto nel 1982.

Gli ingredienti di rito ci sono tutti: agenti segreti austriaci, personaggi dell’Intelligence britannica, ministri a caccia di notizie riservate, diplomatici impeccabili e attivissimi, ufficiali dell’Ammiragliato, bellissime sconosciute rotte ad ogni astuzia spionistica (in un episodio s’intravede la mitica Mata Hari), anarchici sabotatori e pacifisti. Il tutto in un’Europa percorsa dall’ Orient Express, con i suoi ristoranti di prima classe, i suoi fumoirs e i suoi sleeping car. Ma questo ambiente idillico e fuori moda è percorso da fremiti bellicosi che vengono dai Balcani e dall’impero austro-ungarico. E’ il 1908: si approssima la Grande Guerra. Il governo inglese è questa la trama del racconto incarica Sherlock Holmes, detective formidabile, di individuare e sabotare un laboratorio tedesco adibito alla costruzione di siluri, installato in una grotta marina nei pressi di Ancona. L’Italia, membro della Triplice Alleanza, ospita e tutela in segreto questo opificio militare. Attraverso complicati passaggi narrativi, Holmes compie la sua missione: l’arsenale viene fatto saltare con l’aiuto di un vecchio anarchico, che è stato un esperto progettista di torpedini, e di un orfano adolescente, che si lascia coinvolgere per curiosità nell’impresa. I due sono le vittime di questa spy-story: muoiono infatti nell’avventura. Nel raccontarla, Joyce Lussu impiega tutto intero il suo acume (la mimesi dello stile poliziesco è accurata e spiritosa), oltre alla sua conoscenza della provincia marchigiana: la sua famiglia proviene di là. Fra l’antico diario antifascista e questa novella di spionaggio che l’autrice ha scritto a settantun anni (oggi ne ha settantacinque) le analogie sono soltanto di stile: teso, immaginoso, ammiccante. Per gli amatori delle storie di Sibille e streghe (categoria nella quale non rientra chi scrive), la Lussu dà un’ulteriore prova di versatilità in una terza parte, la più breve, del volume, intitolata Il libro Perogno.

Qui la diarista e la raffinata autrice di calchi letterari diventa antropologa, esperta e studiosa di tradizioni magiche. Ma perché libro perogno? Perché le leggende di maghi e streghe di Orgosolo cominciano con la frase latina per omnia saecula saeculorum, che in sardo diventa perogno seculo secloru. Da quelle che si tramandano nelle natie Marche fino a quelle sarde (con qualche accenno all’Africa e al Medio Oriente), le tradizioni magiche non hanno segreti per Joyce Lussu. Fra simili leggende si sente di casa. Ma forse la leggenda più irripetibile della scrittrice rimane la sua biografia, vissuta accanto a un patriota che si chiamava Emilio Lussu, peregrinando avventurosamente tra fronti e frontiere.

(La Repubblica – Venerdì, 20 febbraio 1987 – pagina 33).

Nello Ajello