Descrizione
Da: https://oubliettemagazine.com/2019/08/16/la-via-del-tabacco-di-erskine-caldwell-lossessiva-ripetizione/
“La via del tabacco” di Erskine Caldwell: l’ossessiva ripetizione
Il paragone con un altro grande scrittore del ‘900, Thomas Bernhard, non avrebbe molto senso, se non per il gusto della ripetizione, ma con una grande differenza, anzi due.
In Thomas, il milieu e i personaggi descritti, diciamo “esposti” alla sua terribile narrazione, quasi scaraventati senza ritegno nello scritto, sono del tipo intellettuale e borghese, tanto che risultano quasi sempre insopportabili.
In Caldwell, almeno nel romanzo citato, l’ambiente è quello della Georgia degli inizi degli anni ’30, quando e dove la crisi economica ha gettato nella disperazione soprattutto la povera gente, che fatica a campare e che rischia giornalmente di morire di fame, a meno che non riesca a scroccare o a rubare alimenti dal solo leggermente più abbiente vicino, oppure rinunci a lavorare la terra, non avendone più i mezzi e le risorse, per andare a faticare nelle filande cittadine che promettono un salario che, pur misero, permetterebbe loro di sopravvivere.
Una seconda notevole differenza fra i due autori è basata su quel poco che hanno in comune, a parte la grandezza. In entrambi esiste la tendenza a ripetere in maniera ossessiva certe affermazioni, nel caso di Thomas prodotte dall’io narrante, nel caso di Erskine dai suoi protagonisti.
E qui mi sovviene una terza differenza: Thomas è principalmente un autore dell’io, Erskine del “quei tapini esseri umani”, tanti piccoli soggetti così disgraziati, ma così (poco solidaristicamente) corali. O meglio: essi sono polifonici.
Ogni intervento vocale è distinto e contrapposto rispetto a quello degli altri. La differenza principale è che, in Thomas, tale ripetizione è basata sul meccanismo della variazione musicale: sempre muta, magari di pochissimo, rispetto alla precedente. In Erskine, essa rimane sempre completamente immutata.
Il fetente, fedifrago e lazzarone protagonista de “La via del tabacco“, Jeeter Lester, ladruncolo ed ex sciupaffemine de noiartri, ripete sempre che deve chiedere in prestito un mulo, semi di cotone e guano a credito, perché non riesce più ad avere cibo e tabacco, deve bruciare le saggine e gli alberi giovani per poter finalmente coltivare la sua terra, a cui Dio l’ha confinato e che guai se l’abbandonasse, ché Dio lo punirebbe.
Un altro dei leitmotive riguarda l’altra faccia della medaglia divina, quel “vecchio diavolo” che è sempre lì, pronto a tentarlo. Jeeter, ad ogni piè (faticosamente) sospinto, dovrebbe andare a trovare il suo figlio preferito, Tom, che pare abbia fatto veramente i soldi vendendo traversine di legno per le ferrovie, nella contea accanto.
Tutti questi proponimenti vengono enunciati quasi ogni giorno, specie l’ultimo, ma vengono regolarmente posticipati al dì successivo, e forse non saranno mai realizzati. Ma non occorre arrivare all’ultima tragica pagina per avere la certezza che non lo saranno mai, anche perché quel che frena il buon (si fa per dire) Jeeter non è altro che quella formidabile indolenza che gli impedisce, quando ruzzola per terra, di rialzarsi prontamente. In tal caso egli deve aspettare quel tanto perché si formi l’energia a lui necessaria per risollevarsi.
Con quell’apparente imbecillità che è tipica del furbo-scemo, Jeeter offre al lettore già nei primi capitoli la sua tendenza alla reiterazione, allorché cerca in tutti i modi di farsi regalare dal genero Lov delle rape grandi e grosse (e non piene zeppe di vermi come quelle che mangiò vari giorni innanzi, concetto che è ripetuto alla nausea).
Il suo assedio a tali ghiotti ortaggi fallirebbe miseramente, per cui non gli resta che rubarli, sotto gli occhi attoniti dell’affine, adiuvato proditoriamente dalla figlia Ellie May, quella col labbro leporino. Finalmente egli potrà saziare la sua fame, ma non la sua voglia di tabacco, che ha anche, fra i suoi immensi meriti, la capacità di allievare i morsi della fame.
Tutti i personaggi del romanzo sono assurdamente ripetitivi, soprattutto la predicatrice Bessie, balda quarantunenne (il cui naso appare mostruoso in quanto quasi privo di osso), che sposa l’appena sedicenne (e un po’ beota) Dude Lester, figlio di Jeeter.
Bessie in ogni suo discorso introduce il tema del Signore con cui ha un rapporto di tipo privatistico, che infastidisce come non mai il lettore, per come risulta falso e visibilmente pro domo sua. Bessie è la vedova di un famoso predicatore ed ora vuole trasformare quell’allocco di Dude in uomo di chiesa, quale?, non battista, non evangelista, ma della sua religione “Non ha un nome esatto. Io la chiamo semplicemente ‘Santa’. Finora ero il suo solo membro, ma vi entrerà anche Dude appena ci sposeremo. Dude sarà un predicatore anche lui.” – così dice la piissima Bessie che, poco prima, però, rischiava d’imbestialirsi con Chissà Chi: “… Io ho una gran voglia di sposarmi, Signore. Se non mi farai avere la licenza dalla Contea, non so quello che…”.
Per fortuna (di Dio) poco dopo ce la fa a convincere, per sfinimento, l’impiegato comunale, cui alla fine non resta che arrendersi, per cui la predicatrice esulta dicendo: “Sapevo che il Signore mi avrebbe aiutata…”
Amen!
In effetti, Bessie è più variegata del già poliedrico Jeeter, ed anche le sue reiterazioni sono più fantasiose. Ed è grazie a lei, scrivendo queste righe, che m’accorgo che, in fondo, anch’esse giungono ad essere, anche se quasi impercettibilmente, varianti le une dalle altre. E solo una questione di misura. Del resto, sono entrambi, quelli di Erskine e di Thomas, mondi assoggettati alla fisica, dove ogni individuo rappresenta una particella molto individualizzata, per cui quel che può sembrare immoto e immutato ad un osservatore esterno, non lo è in assoluto.
Il tempo di decadimento di un protone richiede svariati miliardi di anni, quello di un radionuclide è enormemente più rapido, ma il processo è il medesimo. Nulla rimane immutato ‘n coppa a ‘sta terra!
Grazie, Bessie cara, tu m’hai convinto che il tuo tempo di trasformazione da ragazza di facili costumi (“zoccola” addirittura ti chiama Ada, la moglie di Jeeter, forse esagerando) a predicatrice è decisamente rapido. Quello di Jeeter, da simpatico mascalzone a odioso profittatore del prossimo, più o meno è lo stesso e, mi pare che, osservando, le sue stesse reiterazioni, anch’esse presentino delle quasi quantistiche differenze, non come i personaggi di Thomas, ma anch’esse si trasformano…
Grazie anche a te, mio insopportabile Jeeter!
Written by Stefano Pioli