La tecnica edilizia: l’opus testaceum

Fontana del cortile della Villa di Orazio (Foto del Liceo Gullace)

Il panorama edilizio dell’Impero Romano, soprattutto da Nerone in poi, fu caratterizzato anche da costruzioni fatte di mattoni: materiale facile e veloce sia da realizzare sia da mettere in opera e bello esteticamente, anche se spesso “nascosto” dietro il rivestimento di intonaco o in lastre marmoree.

In età più antica, almeno fino ad Augusto, prevalse l’uso di mattoni crudi (i lateres, secondo la terminologia di Vitruvio, da cui opus latericium), dei quali nulla è rimasto, mentre numerosi sono i resti di costruzioni realizzate in mattoni cotti (tegulae, lateres cocti e testae, da cui opus testaceum). Anche questo era un materiale versatile, perché poteva essere impiegato, ad esempio, come rivestimento di strutture in opus caementicium (ricorrendo dapprima a corsi di tegole smarginate e in seguito a mattoni veri e propri) o nelle suspensurae, i tipici pilastrini che sostenevano il pavimento dei calidaria (le vasche di acqua calda) delle terme.

Le dimensioni dei laterizi erano modulate sui multipli e sottomultipli del piede romano corrispondente a cm 29,60. La forma, quadrata, rettangolare, triangolare e persino circolare, veniva predisposta prima della cottura usando arnesi da taglio o seghe. In tal modo si ottenevano mattoni adatti alle diverse esigenze architettoniche. In molti casi veniva sfruttata la differenza cromatica generata dalle diverse temperature di cottura o dal tipo di argilla, per creare motivi decorativi, evitando così il ricorso a materiali diversi.

Particolare della muratura della fontana della Villa di Orazio (Foto del Liceo Gullace)